Il timore dell'abbandono

Abbandono è una parola che può sprigionare in sé una grande energia.

Può avere un’accezione positiva e una negativa, può richiamare al concetto della perdita o della ricchezza. Eppure, quando la sentiamo pronunciare, l’associamo subito ad una sensazione di dolore, di perdita.

Una forma di vulnerabilità che incombe nelle relazioni affettive, la paura che la persona che ci sta accanto possa volgere lo sguardo altrove.

La paura dell’abbandono, se non gestita, può portare alla luce il peggio di noi rendendoci insicuri, possessivi, gelosi. Oppure può rendere accondiscendenti, remissivi e compiacenti.

Questa paura spesso dà luogo a vere e proprie strategie di controllo perché si vive nella completa diffidenza, proiettando sull’altro presunte responsabilità e rendendolo la causa delle nostre insicurezze.

Colui che dovrebbe essere oggetto del nostro amore e della nostra piena fiducia diventa il colpevole del nostro dolore. Se pensiamo bene, l’amore dovrebbe essere esattamente il contrario; l’amore richiede apertura, rispetto per l’individuo e per la sua libertà, condivisione di valori, complicità.

Ecco che in queste situazioni entra in gioco anche la rabbia, una rabbia che esplode, oppure, un’altra che implode. Quella che emerge aggredisce l’altro, ritenuto colpevole del malessere che proviamo. La rabbia che non manifestiamo invece ci logora e temiamo a portarla in scena perché potrebbe allontanare la persona che ci è accanto.

 

È importante ricordare che la paura dell’abbandono è primordiale.

Per svilupparsi l’essere umano ha bisogno di poter contare sin dai primi giorni di vita sui propri simili, i quali diventano una sorta di punto di riferimento. Di solito si tratta delle figure genitoriali (caregiver), in primis la madre, o comunque di persone in grado di trasmettere affetto, fiducia e una sensazione di sicurezza. 

Se al momento della nascita, e soprattutto durante l’infanzia, tale figura di riferimento non si rivela stabile e solida, si verifica nell’individuo una maggiore predisposizione allo sviluppo di determinati disturbi emotivi.

Sicuramente fondamentale per una buona crescita personale è comprendere la causa di questa problematica per risolverla definitivamente.

Assieme al processo di comprensione e consapevolezza del proprio stile di attaccamento sviluppato con il caregiver, sarà utile introdurre anche un lavoro sulla propria autostima.

Un passo significativo è, quindi, iniziare a prendersi cura di sé e dare valore alla propria persona in generale. Solo chi coltiva l’amor proprio potrà attrarre anche quello di un partner.

Il Counselor può accompagnare il cliente in un percorso di rivalutazione di sé e del proprio valore, partendo dal principio che le risorse sono già all'interno dell'individuo.

Spostando il focus dal problema alla persona è possibile che il cliente trovi una nuova direzione più funzionale, modificando l'opinione che ha di sé e il comportamento nei propri confronti (cura di sé, capacità di prendersi dei rischi, di porsi obiettivi...).

 

Per concludere, credo profondamente che l’abbandono possa essere visto anche come grande risorsa.

Può essere tale quando siamo pronti ad abbandonarci al nostro sentire, ai nostri sentimenti, quando siamo pronti a concederci alla vita.

Non possiamo escludere che l’evento dell’abbandono da parte dell’altro si possa verificare. Purtroppo può capitare di vivere questa esperienza, ma ciò che più conta è la possibilità che doniamo a noi stessi di vivere i sentimenti e le relazioni in maniera nutriente.

È fondamentale permettere alle relazioni di crescere dando piena fiducia, assecondando la loro evoluzione e comprendendo il loro mutamento.

L’accettazione torna ad essere l’elemento chiave in questa forma di crescita.

Nelle relazioni affettive è buono pensare che non vi sia nulla da perdere…possiamo solo arricchirci reciprocamente.

 

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